Rifiuti tessili: se ne raccoglie sempre di meno, eppure dovremmo fare sempre di più e meglio perché dietro alla raccolta dei rifiuti tessili c’è una ricchezza economica e ambientale.
Secondo gli ultimi dati Ispra (Rapporto Rifiuti Urbani 2021), in Italia nel 2021 sono state raccolte complessivamente 143,3 kt di frazione tessile, in diminuzione rispetto al 2019 del 9%.
Attualmente, i rifiuti tessili provenienti dalla raccolta differenziata, dopo le lavorazioni di selezione, sono avviati a riutilizzo (stimato in circa il 60%) per indumenti, scarpe e accessori di abbigliamento, utilizzabili direttamente in cicli di consumo; riciclo (stimato in circa il 30%) per ottenere pezzame industriale (10%) o materie prime seconde per l’industria tessile, imbottiture, materiali fonoassorbenti (20%); smaltimento (stimato in circa il 10%).
Il settore in Italia impiega oggi circa 6.000 addetti e potrebbe dare molto più lavoro se si investirà al meglio nella prossima emanazione della strategia europea sul tessile.
È quanto afferma Unirau (l’associazione delle aziende e delle cooperative che già da anni svolgono le attività di raccolta e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani) che ha anche predisposto e inviato al Ministero della Transizione Ecologica e ai principali rappresentanti della filiera un position paper sull’implementazione di un sistema Epr per il settore in Italia.
Il documento tocca diversi aspetti: dal campo di applicazione alla responsabilità dei produttori e ai costi di gestione, dal contributo ambientale ai sistemi di compliance fino alla raccolta e selezione, al ruolo della distribuzione e alla vigilanza e politiche per lo sviluppo del settore.
Più in generale, Unirau e in primis il suo presidente Andrea Fluttero, ritiene che in un sistema Epr occorra anzitutto stabilire una chiara individuazione delle responsabilità, anche economiche, dei produttori/importatori.
E attenzione, proprio perché la moda ha trovato nell’online un grande canale di vendita, Unirau afferma che anche chi vende vestiti con l’e-commerce debba interessarsi al fine vita degli stessi.
Insomma. Tutti quelli che compongono la filiera (intermediari, commercianti e distributori) devono collaborare, senza riversare sulle fasi della raccolta e del trattamento eventuali deficit di gestione.
L’Epr dovrà agire a supporto di tutta la filiera, in particolare della qualità ambientale delle diverse fasi, della legalità e dell’equilibrio economico delle attività, anche quando i costi di gestione dei rifiuti superano i ricavi della vendita delle materie o dei beni riusabili da essi ottenuti, in relazione alle fluttuazioni delle quotazioni delle commodity e alla disponibilità dei mercati di sbocco per il riuso e per i riciclati.
Secondo Unirau, appare inutile o addirittura controproducente che l’Epr vada a sostituirsi al sistema attualmente operante nei segmenti della raccolta (organizzata dai Comuni e affidata con gara pubblica) e della selezione (gestita dagli operatori autorizzati e finalizzata all’estrazione della parte valorizzabile destinata al riuso) nella misura in cui tali fasi riescano ad autosostenersi grazie al ricorso al mercato.